Con D.Lgs. 27 giugno 2022, n. 104 (cd. Decreto Trasparenza) sono stati recepiti i contenuti della Direttiva UE 2019/1152 che modifica parzialmente il decreto 152/1997 relativo agli obblighi di informazione al lavoratore e le prescrizioni minime relative alle condizioni di lavoro.

Nella circolare n. 29 ci siamo occupati dei nuovi obblighi informativi da rendere ai lavoratori.

Veniamo ora alle prescrizioni minime relative alle condizioni di lavoro.

DURATA MASSIMA DEL PERIODO DI PROVA

Il periodo di prova non può essere superiore a sei mesi, salva la durata inferiore prevista dalle disposizioni dei contratti collettivi.

Nel rapporto di lavoro a tempo determinato, il periodo di prova è stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego. Nulla viene però precisato in merito al criterio da utilizzare per effettuare il riproporzionamento. Si attendono pertanto chiarimenti.

In caso di rinnovo di un contratto di lavoro per lo svolgimento delle stesse mansioni, il rapporto di lavoro non può essere soggetto ad un nuovo periodo di prova.

In caso di eventi, quali malattia, infortunio, congedo di maternità o paternità obbligatori, il periodo di prova è prolungato dello stesso numero di giorni della durata dell’assenza.

CUMULO DI IMPIEGHI

Fatto salvo l’obbligo di fedeltà previsto dall’articolo 2105 del codice civile (il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio), il datore di lavoro non può vietare al lavoratore lo svolgimento di altra attività lavorativa in orario al di fuori della programmazione dell’attività lavorativa concordata, né per tale motivo riservargli un trattamento meno favorevole.

Il datore di lavoro può limitare o negare al lavoratore lo svolgimento di un altro e diverso rapporto di lavoro qualora sussista una delle seguenti condizioni:

a) pregiudizio per la salute e la sicurezza del lavoratore, compreso il rispetto della normativa in materia di durata dei riposi;

b) necessità di garantire l’integrità del servizio pubblico;

c) conflitto di interesse con l’attività principale, pur non violando il dovere di fedeltà. Tali disposizioni si applicano anche al committente nell’ambito dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.

PREVEDIBILITA’ MINIMA DEL LAVORO

Lo svolgimento dell’attività lavorativa deve essere prevedibile e quindi programmabile.

Qualora l’organizzazione del lavoro sia interamente o in gran parte imprevedibile, il datore di lavoro non può imporre al lavoratore di svolgere l’attività lavorativa, salvo che ricorrano entrambe le seguenti condizioni:

a) il lavoro si svolga entro ore e giorni di riferimento predeterminati;

b) il lavoratore sia informato sull’incarico o la prestazione da eseguire, con il ragionevole periodo di preavviso.

In mancanza di una o entrambe le condizioni, il lavoratore ha il diritto di rifiutare l’incarico di lavoro o di rendere la prestazione, senza subire alcun pregiudizio anche di natura disciplinare.

Il datore di lavoro che abbia stabilito, conformemente ai criteri individuati dai contratti collettivi, anche aziendali, il numero delle ore minime retribuite garantite deve informare il lavoratore:

a) del numero delle ore minime retribuite garantite su base settimanale, nella misura indicata dai contratti collettivi, anche aziendali;

b) delle maggiorazioni retributive, in misura percentuale rispetto alla retribuzione oraria base, spettanti per le ore lavorate in aggiunta alle ore minime retribuite garantite.

Qualora il datore di lavoro revochi un incarico o una prestazione di lavoro precedentemente programmati, senza un ragionevole periodo di preavviso, è tenuto a riconoscere al lavoratore la retribuzione inizialmente prevista per la prestazione pattuita dal contratto collettivo, ove applicabile o, in mancanza, una somma a titolo di compensazione per la mancata esecuzione dell’attività lavorativa, la cui misura non può essere in ogni caso inferiore al 50 per cento del compenso inizialmente pattuito per la prestazione annullata.

Tali disposizioni si applicano anche al committente nell’ambito dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.

TRANSIZIONE A FORME DI LAVORO PIU’ PREVEDIBILI, SICURE E STABILI

Ferme restando le disposizioni più favorevoli già previste dalla legislazione vigente e tenuto conto che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato resta la forma comune di rapporto di lavoro, il lavoratore che abbia maturato un’anzianità di lavoro di almeno sei mesi presso lo stesso datore di lavoro o committente e che abbia completato l’eventuale periodo di prova, può richiedere in forma scritta che gli venga riconosciuta una forma di lavoro con condizioni più prevedibili, sicure e stabili, se disponibile.

In caso di risposta negativa, il lavoratore può presentare una nuova richiesta dopo che siano trascorsi almeno sei mesi dalla precedente.

Entro un mese dalla richiesta del lavoratore il datore di lavoro o il committente forniscono risposta scritta motivata. In caso di richiesta reiterata da parte del lavoratore di analogo contenuto, le persone fisiche in qualità di datori di lavoro o le imprese che occupano fino a cinquanta dipendenti possono rispondere in forma orale qualora la motivazione della risposta rimanga invariata rispetto alla precedente.

Tali disposizioni non si applicano ai lavoratori alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni ed ai lavoratori domestici.

Nulla si dice sulle conseguenze in caso di diniego espresso dal datore di lavoro/committente.

FORMAZIONE OBBLIGATORIA

Quando il datore di lavoro è tenuto, secondo previsioni di legge o di contratto individuale o collettivo, a erogare ai lavoratori una formazione per lo svolgimento del lavoro, tale formazione, da garantire gratuitamente a tutti i lavoratori, va considerata come orario di lavoro e, ove possibile, deve svolgersi durante lo stesso.

L’obbligo non riguarda la formazione professionale o la formazione necessaria al lavoratore per ottenere, mantenere o rinnovare una qualifica professionale, salvo che il datore di lavoro non sia tenuto a fornirla secondo la legge o la contrattazione collettiva.

Restano ferme le disposizioni di cui agli articoli 36 e 37 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 inerenti l’informazione e la formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti in tema di salute e sicurezza sul lavoro.

L’ultima parte del Decreto Trasparenza è invece relativa alle misure di tutela a favore di lavoratori.

MECCANISMI DI RISOLUZIONE RAPIDA E DIRITTO DI RICORSO

Ferma restando la facoltà di adire l’autorità giudiziaria e amministrativa e salvo specifiche procedure previste dai contratti collettivi di lavoro, in caso di violazioni dei diritti previsti dal Decreto Trasparenza, i lavoratori, compresi coloro il cui rapporto di lavoro è cessato, possono promuovere il tentativo di conciliazione, ovvero ricorrere al collegio di conciliazione ed arbitrato, ovvero rivolgersi alle camere arbitrali.

PROTEZIONE DA TRATTAMENTO O CONSEGUENZE SFAVOREVOLI

Se a seguito della presentazione di un reclamo o dell’avvio di un procedimento, anche non giudiziario, volti a tutelare i diritti di cui al Decreto Trasparenza, il lavoratore subisse comportamenti ritorsivi o con effetti sfavorevoli, il medesimo potrà presentare denuncia all’Ispettorato Nazionale del Lavoro direttamente o per il tramite dell’organizzazione sindacale delegata.

L’INL, accertate le irregolarità, applicherà la sanzione amministrativa da 250 euro a 1500 euro (salvo che il fatto costituisca reato).

PROTEZIONE CONTRO IL LICENZIAMENTO O CONTRO IL RECESSO DEL COMMITTENTE E ONERE DELLA PROVA

Sono vietati il licenziamento e i trattamenti pregiudizievoli del lavoratore conseguenti all’esercizio dei diritti previsti dal Decreto Trasparenza.

I lavoratori – estromessi dal rapporto di lavoro o comunque destinatari di misure equivalenti al licenziamento adottate nei loro confronti dal datore di lavoro o dal committente per aver esercitato i diritti di cui al Decreto Trasparenza – possono fare espressa richiesta dei motivi delle misure adottate. Il datore di lavoro o il committente fornisce, per iscritto, tali motivi entro sette giorni dall’istanza.

Qualora il lavoratore faccia ricorso all’autorità giudiziaria competente, lamentando la violazione dei propri diritti, incombe sul datore di lavoro o sul committente l’onere di provare che i motivi addotti a fondamento del licenziamento o degli altri provvedimenti equivalenti adottati a carico del lavoratore non siano riconducibili ai diritti previsti dal Decreto Trasparenza.